«Melach ve Halom» – “il sale e il sogno” – è il titolo di una esclusiva performance di danza contemporanea. Il sale è quello del Mar Morto. Il sogno è quello della coreografa israeliana Sharon Hilleli-Assa.

sullo sfondo è affacciato sul Mar Morto. In primo piano, alle loro spalle, la voragine di una dolina.

[Aprile 2021]

 

«Per far avverare un sogno, non basta crederci. Bisogna lavorare duro». Sharon Hilleli-Assa è ancora accaldata dopo aver danzato sotto il sole del deserto, a 400 metri sotto il livello del mare, al caldo dei 40° C di fine marzo. Se l’avessi sentita parlare di natura, di legami con “Mamma Terra”, pace e coesistenza prima di assistere alla performance, forse avrei alzato un sopracciglio. Ma quando i corpi dei sei ballerini – la stessa Sharon e poi Nairooz Qupty, Naftali Bar-Yosef, Shahaf Elimelech, Nitzan Safion e Nadav Sharon -, sei puntini quasi invisibili, hanno preso a muoversi, è scattata una sorta di ipnosi. Sarà stato il suono degli “Om” nel silenzio della natura, la luce abbagliante, il bianco del sale. Saranno state le sfumature di azzurro dell’acqua. E le tonalità di rosa in cui sfumava l’aria calda e rarefatta. E la presenza, invisibile allo sguardo, ma lì, a pochi chilometri di distanza, della riva giordana, con i suoi monti a strapiombo sul lago. Ho visto cambiare il profilo del Mar Morto nel corso degli anni. La terra sprofonda dietro l’acqua che si ritira al ritmo di un metro e mezzo ogni anno. Voragini si aprono anche sott’acqua, sul fondo del bacino idrografico più basso e più salato del mondo. Negli anni, strade, palmeti e stabilimenti balneari, sono stati inghiottiti. Una minaccia per il delicato equilibrio in un ambiente così estremo.

La natura non resta mai immobile. Reagisce e muta, si adatta ed evolve.

Una ballerina, di schiena, danza sullo sfondo delle sponde del Mar Morto.

Tuttavia, le doline  create dall’acqua dolce che scorre sotto terra e incontra gli strati di sedimenti, sciogliendoli, sono un fenomeno geologico estremamente affascinante.

Sullo sfondo di questo paesaggio, concettuale e fisico, ho incontrato Sharon Hilleli-Assa, coreografa, ballerina e insegnante di danza.

È nata nel kibbutz fondato dai suoi genitori, Sha’ar HaAmakim, nel nord di Israele (lo stesso in cui – nota a margine – lavorò per diversi mesi, nel 1963, il senatore degli Stati Uniti Bernie Sanders). Fin da bambina è cresciuta immersa nella natura. Balla da quando aveva sei anni e la scuola di danza è sempre stata una specie di tempio per lei. «Per raggiungere lo studio – ricorda – ogni giorno camminavo per chilometri in mezzo ai campi. Mi piace la tranquillità. Così riesco a sentire il mio corpo. Fa parte della meditazione, del mio modo di sintonizzarmi sulla danza».

Dopo aver servito nell’esercito per due anni, è entrata nella Jerusalem Tamar Dance Company, la prima compagnia di danza professionale di Gerusalemme, poi sciolta nel 1992 a causa di problemi finanziari. 

«Ho ballato con loro per quattro anni. Poi sono andata a New York. Avevo bisogno di capire se la danza sarebbe stata il mio mestiere. Lì ho scoperto che preferivo insegnarla. Allora sono tornata in Israele e ho approfondito l’aspetto della didattica. Insegno da 30 anni, e da 20 creo le mie coreografie». 

Negli ultimi 10 anni Sharon ha iniziato a creare qualcosa che avesse un significato per la collettività e un impatto spirituale, ma anche concreto.

A lasciare un segno profondo in Sharon, è stata l’esperienza con Anna Halprin. «Soprattutto la performance Planetary Dance. Da allora ho trovato la mia strada:   lavorare alla pace, passo dopo passo. Letteralmente. Qui in Israele, al fianco di ballerini palestinesi».

Come Ayman Safiah, considerato uno degli artisti arabi israeliani più talentuosi che il paese abbia conosciuto. Tragicamente morto un anno fa, annegato, nel tentativo di salvare un amico in mare.

Con lui, Sharon ha messo le basi del progetto «Lehem, Melach ve Halom» (“Il pane, il sale e il sogno”), tre parole che, in ebraico, condividono la stessa radice.

«Ho scelto di ballare per la pace nel mio paese perché è quello che so fare. Certo, ogni gesto è anche politica, ma non voglio cascare nei suoi meccanismi. Il legame tra esseri umani ha basi molto semplici: la natura, “Mamma Terra”. Siamo tutti fatti della stessa materia. Per questo – spiega la coreografa – amo creare performance all’aperto, nella natura, con altri ballerini. Per tornare semplici, ascoltare profondamente, danzare in modo poetico. Liberandoci dalle abitudini, dall’ego, dall’individualismo».

«Certo, sono israeliana e legata alla mia terra. Ma questo – va avanti Sharon – è solo uno degli strati di ciò che sono. Fa parte del mio background. Io credo che bisogna spogliarsi degli strati più superficiali per arrivare all’anima, che è la parte più forte di noi. Cosmopolita: ecco come mi sento. Nel senso che sono figlia della Terra e del Cosmo. E sono, alla fine, un essere umano».

 

Alla fine di un viaggio, quello che resta scolpito dentro, sono matasse di emozioni. Sono i brevi momenti di sorpresa e poesia, a riempire di senso l’esperienza.

Foto: Fabiana Magrì

NOTE
Per vedere le performance, c’è il canale Vimeo di Sharon Hilleli-Assa 

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